Wednesday, February 22, 2017

Brain-exit, la sfida della scienza per una società aperta

Brain-exit, la sfida della scienza per una società aperta | Gianmarco Contino

BREXIT



A Oxford il 70% dei cittadini inglesi ha votato per il "remain", a Cambridge la percentuale è stata del 74%. Se fosse stato per queste due città, sedi di due delle migliori università al mondo, oggi non discuteremmo di Brexit, ma del modo di facilitare gli scambi di persone e idee dentro e oltre gli attuali confini dell'Unione Europea. L'Oxfordshire è (da oggi è più appropriato dire era) una delle 10 regioni più ricche dell'Unione Europea, un primato che gli deriva anche dalla forte concentrazione di start-up ad alto contenuto tecnologico.
Circa il 30% degli abitanti dell'Oxfordshire è nata in paesi stranieri europei ed extracomunitari. Molti di questi sono di passaggio: studenti, ricercatori o lavoratori come me, che, in ogni caso, non hanno potuto votare il referendum per la Brexit. Nonostante ciò, anche il più isolazionista degli inglesi capisce che, in posti come questi, le facilitazioni burocratiche ed economiche dell'Europa Unita hanno permesso alle università e aziende di reclutare talenti formidabili provenienti da background e culture differenti. Una contaminazione che ha permesso a idee e progetti ambiziosi di fiorire e realizzarsi a beneficio della comunità locale e spesso del mondo intero. 

Le università inglesi si sono affrettate a rassicurare i propri affiliati sulle loro intenzioni di mantenere facilitazioni e promuovere la mobilità dei ricercatori, ma la realtà è che, a parità di talento, è più facile essere assunti in quanto cittadini europei che cittadini extracomunitari. La Gran Bretagna ha scelto, male. Ha lasciato la scelta in mano di anziani con una visione limitata e pessimista della storia. Inevitabilmente, nel lungo termine la Gran Bretagna pagherà la perdita del capitale umano ed economico che gli derivava dall'Unione Europeadai fondi di ricerca comunitaria e le collaborazioni promosse dai programmi di finanziamento europei. Molte aziende si guarderanno intorno alla ricerca di nuovi hub della scienza in giro per il mondo. La Brexit sarà una anche Brain-exit.
Karl Popper, un filosofo austro-britannico, scrisse che "la nostra civilizzazione non si è ancora ripresa dal trauma della propria nascita, ovvero dalla transizione da una "società chiusa" e tribale, soggetta a forze magiche, a una "società aperta" che libera le forze fondamentali dell'uomo". Le forze regressive e tribali sono sempre presenti e si fanno sentire maggiormente in tempi di crisi. Nel passato abbiamo osservato e velocemente dimenticato i cicli di isolazionismo, guerra e espansione che la visione dell'Unione Europea ha scardinato, offrendo 70 anni di pace, crescita e benessere.
La comunità scientifica ha contribuito al contenimento di queste forze irrazionali che nutrono le spinte isolazioniste di questa Europa un po' ammaccata e oggi è chiamata a giocare un ruolo politico per disegnare l'orizzonte di una Europa culla della razionalità e innovazione. Dobbiamo premere per la promozione della libera circolazione di uomini e idee, per la creazione di centri culturali con masse critiche tali da modificare l'economia di una intera regione, per riconvertire le attività economiche tradizionali in imprese ad alto contenuto tecnologico. In Italia penso a città come Milano e Pisa, già pronte a creare la spina dorsale del rinascimento europeo. Arti e scienze sono i soli alleati della società aperte e i numeri contro tendenza di Oxford e Cambridge lo hanno, con rabbia, gridato al mondo.

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