Wednesday, February 22, 2017

Davvero un test della saliva può diagnosticare il cancro in 10 minuti?

Davvero un test della saliva può diagnosticare il cancro in 10 minuti? | Gianmarco Contino:



Presto sarà possibile fare una diagnosi di tumore al polmone in soli 10 minuti con un semplice test della saliva per meno di 25 dollari. Questa è la promessa del Prof David Wong della University of California at Los Angeles (UCLA), che da anni lavora sulla messa a punto di questo test.
I dettagli del test non sono completamente noti, ma, dal breve annuncio fatto alla American Association for the Advancement of Science, una delle più solide società scientifiche americane, si tratterebbe di un test in grado di rivelare la presenza di una mutazione di un gene (EGFR, recettore per il fattore di crescita epitaliale), responsabile della crescita incontrollata delle cellule tumorali. Sebbene l'accuratezza dichiarata sia del 100%, sono ancora necessari trial clinici prima che questo test divenga disponibile.
Qualsiasi sia la fortuna di questo test, è certo nei prossimi 5-10 anni disporremo di numerosi test non invasivi che vanno sotto il nome di biopsie liquide, che permetteranno di individuare il tumore o altre malattie in fasi iniziali. Aziende come Google e Amazon stanno investendo in queste tecnologie, con loro compagnie ad hoc, e molti laboratori in giro per il mondo sono concentrati nello sviluppare le tecnologie e conoscenze necessarie alla messa a punto di questi test.
La diagnosi precoce è, insieme alla prevenzione, una delle armi più efficaci contro il cancro. Nella maggiorparte dei casi infatti, i tumori in fase molto iniziale possono essere curati in maniera definitiva. Tuttavia, nessun test è perfetto, e bisogna evitare che risultati falsamente positivi portino a ulteriori indagini non necessarie, o, al contrario, falsi negativi finiscano per ritardare la diagnosi. Paradossalmente, alcuni di questi test rischiano di identificare il tumore prima che sia realmente identificabile, perché troppo piccolo, ponendo il problema di quale sia il comportamento più adatto in questo caso (e anche la reale utilità). Per questo test ad esempio, Prof. Wong suggerisce che venga utilizzato per confermare un nodulo sospetto alla radiografia del torace.
Le possibilità tecniche vanno quindi guardate sotto la lente dei reali benefici clinici che se ne possono ottenere. Il rischio è infatti quello di un eccesso di diagnosi o diagnosi in fasi non suscettibili di un trattamento medico adeguato. C'è quindi da augurarsi che questi test diventino presto disponibili e alla portata di tutti, ma che al contempo, medici e pazienti, imparino, sulla base delle evidenze cliniche, a soppesarne la reale utilità e fare scelte consapevoli sul loro uso.

BIOPSIA

So cosa pensi! La scienza dietro il sogno di leggere nella mente

So cosa pensi! La scienza dietro il sogno di leggere nella mente | Gianmarco Contino



Sebbene sia uno dei pochi al mondo capace di leggere la mente, Jack Gallant è un tipo molto alla mano. Colpisce il suo baffo anni '70, che stona con con l'aspetto da ragazzo in maglietta e felpa Northface che cammina in flip flops in un campus della west coast americana. Il suo sguardo si accende di fronte alle mappe colorate che vengono fuori da un particolare tipo di risonanza magnetica con la quale lui e il suo team studia quali aree del cervello si accendono mentre sentiamo una storia.
La speranza di leggere nel pensiero ha accompagnato l'uomo fin dall'origine della sua storia. Al contrario di maghi, sensitivi e stregoni, gli scienziati hanno avuto poca fortuna nel decifrare cosa si nasconde tra le pieghe del nostro cervello. Chi ci ha provato, come il famoso frenologo Franz Jhoseph Gall (1758-1828), ha creato mostri pseudoscientifici le cui conseguenze si trascinano ancora oggi.

La verità è che abbiamo iniziato a comprendere qualcosa di come il cervello funzioni solo recentemente. Basti pensare che la "teoria del neurone", l'unità di base che genera impulsi nel nostro cervello, fu proposta da Purkinye agli inizi del 1800 e solo alla fine del secolo lo spagnolo Cayal e l'italiano Camillo Golgi definirono alcuni dei meccanismi di base della trasmissione sinaptica che meritarono loro il premio Nobel nel 1906. A guardarlo da fuori il cervello sembra una spugna grinzosa, composta da una sostanza molle, grigiastra e perlopiù omogenea. Nel 1800, Pier Paul Broca, un anatomista e chirurgo parigino, notò all'autopsia di due suoi pazienti (Tan, dall'unica parola che era capace di pronunciare, e Leborgne) che lesioni di una particolare area del cervello di sinistra, causavano afasia, ovvero l'incapacità di parlare. Quell'area del cervello, che ora chiamiamo area di Broca è responsabile della attivazione motoria necessaria all'articolazione dei suoni ma anche alla sintassi che ne sottende il senso. Si pensa che si sia evoluta come una area super-specializzata originariamente deputata ai gesti che, come sanno bene gli italiani, sono una delle forme più consolidate di comunicazione. Altri dopo di lui definirono le aree necessarie alla comprensione dei suoni e alla loro trasformazione in linguaggio.

Suoni, e gesti sono pero' solo la facciata esterna del complesso universo semantico che vive nel nostro cervello. Esso è popolato di idee, concetti ed esperienze che sopravvivono all'incapacità di parlare o ascoltare e trovano la loro strada anche nel cervello di chi, fin dal concepimento è' stato privato di queste capacità. L'organizzazione dei significati è rimasto un problema elusivo che Gallant ha esplorato osservando, con una risonanza magnetica, i piccoli cambiamenti nel consumo di ossigeno del nostro cervello mentre ascoltiamo una storia. Generalmente questo tipo di esperimenti viene condotto con una quantità limitata di stimoli a causa della nostra capacità di isolare segnali specifici dai rumori di fondo dei numerosi processi paralleli che avvengono in ogni dato momento nel cervello.
La scommessa di questa ricerca è stata quella di decifrare l'immensa mole di dati che deriva da una esperienza reale come quella di ascoltare una storia intera (in questo caso un episodio di un famoso podcast americano chiamato "The Moth"). I risultati pubblicati sulla rivista "Nature" hanno mostrato che i significati non siano ristretti in una area specifica del cervello. Al contrario quasi tutta la corteccia di entrambi gli emisferi contiene significati organizzati secondo affinità semantiche e funzionali. A esempio la parola "madre", "famiglia", "donna" e "incinta" sono rappresentate insieme in nella giunzione temporale parietale destra del cervello vicino alla parola "casa", "marito" e "affitto". La parola "sopra" si ritrova in prossimità di abbigliamento, ma anche nell'area dei numeri e ancora in quella contente palazzi ed edifici. Così ancora le parole che contengono significati violenti si trovano in prossimità dei significati che riguardano le persone, parti del corpo e le interazioni sociali. Alcune pieghe del nostro cervello racchiudono inquietanti associazioni come quella tra madre, nascita e assassinio; amore e odio si avvinghiano nelle pieghe del nostro cervello esattamente come Freud aveva immaginato nella sua teorizzazione del complesso edipico. (Per chi si vuole divertire a trovare i significati nel cervello, gli autori di questo studio hanno messo a disposizione una mappa interattiva).
Non si tratta ovviamente di una mappa definitive, al contrario apre la strada a molte domande. A esempio, come cambia la mappa a seconda della lingua che parliamo? Come si genera variabilità interindividuale che permette a persone diverse di attribuire significati differenti ad uno stesso testo, immagine o situazione? Tra le varie domande che scaturiscono da questo studio aleggia forse una delle più intime aspirazione dell'uomo: potremo leggere la mente delle persone semplicemente analizzando segnali captati dal cervello? Molti scienziati pensano che questa possibilità sia ormai a portata di mano. In particolare, la nostra capacita' di decodificare l'attività cerebrale ha raggiunto risultati impensabili pochi anni fa. Certamente la pensa così Ian Burkhart che in un maledetto 10 giugno di 6 anni fa, vide la sua vita infrangersi contro un'onda sbagliata nelle spiagge del North Carolina che gli spezzò la schiena strappandogli via la capacita' di muoversi, camminare e giocare a lacrosse costruita dal suo cervello e dai suoi muscoli in 19 anni di costante allenamento. Tuttavia, come in un hard disk, i nostri dati non vengono quasi mai cancellati. Da quel giorno la nuova sfida del cervello di Ian e dei ricercatori dell'Ohio State University, è stata quella di trovare un modo di bypassare la cicatrice che impedisce alla corteccia motoria di Ian di trasmettere segnali ai muscoli. Dopo sei anni, un computer è stato finalmente in grado di decifrare selettivamente l'attività motoria del cervello di Ian e stimolare i muscoli del suo braccio permettendogli di afferrare oggetti, versare un bicchiere di acqua o suonare la chitarra.

L'accelerazione dell'integrazione tra macchine e corpo rappresenta la sfida evoluzionistica più grande degli ultimi millenni per l'uomo (qui, tristemente, devo precisare: per quella parte dell'umanità che non deve occuparsi di morire di fame e infezioni). Il cervello dovrà sviluppare alcune capacità e probabilmente abbandonarne alcune altre come sta succedendo alla capacità di orientamento che stiamo affidando sempre di più al GPS. Arriverà il momento in cui dovremo preoccuparci di difendere la privacy dei nostri pensieri più intimi e le nostre esperienze. Ma, come risponde Gallant a chi gli chiede se saremo in grado di leggere la verità nel cervello dei criminali, la realtà è che "le rappresentazioni del nostro cervello sono spesso non veritiere e foriere di errori o false percezioni", suggerendo estrema cautela nelle possibilità future di leggere nel pensiero. Per il momento, mi interessa pensare che, grazie ad una migliore conoscenza del nostro cervello, saremo in grado di liberare i pensieri e le azioni imprigionati nei cervelli colpiti da malattie e lesioni e di riconnettere alla vita lo straordinario universo che custodiamo nella nostra testa.




Brain-exit, la sfida della scienza per una società aperta

Brain-exit, la sfida della scienza per una società aperta | Gianmarco Contino

BREXIT



A Oxford il 70% dei cittadini inglesi ha votato per il "remain", a Cambridge la percentuale è stata del 74%. Se fosse stato per queste due città, sedi di due delle migliori università al mondo, oggi non discuteremmo di Brexit, ma del modo di facilitare gli scambi di persone e idee dentro e oltre gli attuali confini dell'Unione Europea. L'Oxfordshire è (da oggi è più appropriato dire era) una delle 10 regioni più ricche dell'Unione Europea, un primato che gli deriva anche dalla forte concentrazione di start-up ad alto contenuto tecnologico.
Circa il 30% degli abitanti dell'Oxfordshire è nata in paesi stranieri europei ed extracomunitari. Molti di questi sono di passaggio: studenti, ricercatori o lavoratori come me, che, in ogni caso, non hanno potuto votare il referendum per la Brexit. Nonostante ciò, anche il più isolazionista degli inglesi capisce che, in posti come questi, le facilitazioni burocratiche ed economiche dell'Europa Unita hanno permesso alle università e aziende di reclutare talenti formidabili provenienti da background e culture differenti. Una contaminazione che ha permesso a idee e progetti ambiziosi di fiorire e realizzarsi a beneficio della comunità locale e spesso del mondo intero. 

Le università inglesi si sono affrettate a rassicurare i propri affiliati sulle loro intenzioni di mantenere facilitazioni e promuovere la mobilità dei ricercatori, ma la realtà è che, a parità di talento, è più facile essere assunti in quanto cittadini europei che cittadini extracomunitari. La Gran Bretagna ha scelto, male. Ha lasciato la scelta in mano di anziani con una visione limitata e pessimista della storia. Inevitabilmente, nel lungo termine la Gran Bretagna pagherà la perdita del capitale umano ed economico che gli derivava dall'Unione Europeadai fondi di ricerca comunitaria e le collaborazioni promosse dai programmi di finanziamento europei. Molte aziende si guarderanno intorno alla ricerca di nuovi hub della scienza in giro per il mondo. La Brexit sarà una anche Brain-exit.
Karl Popper, un filosofo austro-britannico, scrisse che "la nostra civilizzazione non si è ancora ripresa dal trauma della propria nascita, ovvero dalla transizione da una "società chiusa" e tribale, soggetta a forze magiche, a una "società aperta" che libera le forze fondamentali dell'uomo". Le forze regressive e tribali sono sempre presenti e si fanno sentire maggiormente in tempi di crisi. Nel passato abbiamo osservato e velocemente dimenticato i cicli di isolazionismo, guerra e espansione che la visione dell'Unione Europea ha scardinato, offrendo 70 anni di pace, crescita e benessere.
La comunità scientifica ha contribuito al contenimento di queste forze irrazionali che nutrono le spinte isolazioniste di questa Europa un po' ammaccata e oggi è chiamata a giocare un ruolo politico per disegnare l'orizzonte di una Europa culla della razionalità e innovazione. Dobbiamo premere per la promozione della libera circolazione di uomini e idee, per la creazione di centri culturali con masse critiche tali da modificare l'economia di una intera regione, per riconvertire le attività economiche tradizionali in imprese ad alto contenuto tecnologico. In Italia penso a città come Milano e Pisa, già pronte a creare la spina dorsale del rinascimento europeo. Arti e scienze sono i soli alleati della società aperte e i numeri contro tendenza di Oxford e Cambridge lo hanno, con rabbia, gridato al mondo.

L'eredità di Umberto Veronesi: la scienza, l'etica, la dignità della persona umana

Gianmarco Contino:



VERONESI
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Il Prof. Umberto Veronesi è stato medico, filantropo, innovatore e intellettuale. È stato tutto questo insieme, in tutti gli istanti della sua vita. Come medico, negli anni '70, ha dimostrato attraverso uno dei primi trial randomizzati in Italia che, in molti casi, fosse possibile curare il tumore al seno attraverso una resezione limitata e senza ricorrere ad un intervento radicale e demolitivo.
Quella scoperta segnò un prima e un dopo dell'oncologia mondiale: dalla massima terapia tollerabile alla minima terapia necessaria. Sarebbe tuttavia riduttivo, limitare il significato di quello studio all'avanzamento di una tecnica chirurgica. Già in quello studio fondamentale, si delineano le direttrici del suo agire che, negli anni, lo vedrà impegnato su temi sociali ed etici, nella promozione della cultura della prevenzione e della ricerca scientifica.
Se, infatti, a segnare le sue ricerche sono il rigore scientifico e la razionalità, a guidare le sue intuizioni vi è un profondo rispetto per la dignità umana e per l'integrità fisica e morale dell'individuo.
Negli anni ha declinato questi principi nella promozione di una medicina costruita intorno al paziente: ha reso le terapie sempre meno invasive nel corpo e nella vita dei pazienti, ha ripensato orari e spazi degli ospedali, ha promosso la cura di sé intesa come approccio olistico alla salute che inizi dalla prevenzione e l'informazione prima ancora che dalle terapie.
Con coerenza ha sostenuto che l'integrità psicofisica dell'individuo dovesse essere onorata fino alla fine, rispettando le volontà espresse da ciascuno attraverso un testamento biologico. Nel senso più ampio possibile ha saputo interpretare il ruolo dello scienziato nella società civile infondendo il suo pensiero di fiducia nel progresso. Questa fiducia gli derivava dalla certezza che la ricerca della verità e il miglioramento della conoscenza siano intrinsecamente etiche e debbano essere messe al servizio di una società più giusta.
Ci lascia una eredità imponente e la responsabilità di continuare il suo lavoro come medici, scienziati e cittadini, nella lotta contro i tumori, nell'avanzamento della conoscenza e nella costruzione di una società più rispettosa della dignità della persona a partire dai più fragili.